La dottrina del capitale umano, validata da numerosi studi empirici, individua nella formazione il principale strumento di sviluppo personale, di incremento del valore delle organizzazioni e di crescita del sistema economico e civile. La formazione permanente è la componente principale del vantaggio competitivo di un Paese oltre che strumento di miglioramento individuale e del contesto sociale. La produttività di una singola organizzazione o del sistema nel suo complesso sono tanto maggiori quanto più elevato è il “capitale umano”, determinato dall’ammontare complessivo delle capacità innate, dell’esperienza, dell’impegno e delle capacità acquisite dai lavoratori per mezzo della formazione (1).
In tempi più recenti, la maggiore disponibilità di informazioni e di analisi condotte in via sperimentale su campioni vasti e statisticamente significativi, ha evidenziato sia la potenza esplicativa sia i limiti della teoria del capitale umano, fondata esclusivamente sulle capacità cognitive, ed evidenziato al contempo la rilevanza delle abilità non cognitive (ANC) nel potenziare gli apprendimenti (2). Effettivamente è il buon senso, prima della dottrina, a suggerire che il carattere di una persona (perseveranza, autocontrollo, motivazione, coscienza, tenacia, ecc.) influisce sui risultati scolastici e prospettive di lavoro. Successivamente, le ANC sono state pure definite ed individuate sinteticamente come big five (sinonimo di carattere), essendo riconducibili a cinque grandi dimensioni: estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura all’esperienza. Si tratta di un campo di ricerca di grande prospettive, relativamente nuovo e non agibile dal solo economista, chiaramente a cavallo fra economia e psicologia (3).
Le multidimensioni delle Abilità Non Cognitive
Il capitale umano, pertanto, non può essere ridotto ai cognitive skills e devono essere considerate anche le ANC che includono i tratti profondi della personalità e le dimensioni socio-emozionali. Numerosi studi sperimentali mostrano che le ANC sono misurabili nell’impatto sulle performance scolastiche, sul rendimento nel lavoro e su altri aspetti della vita civile. Si verifica così sul campo che le performance scolastiche dipendono dall’intelligenza innata, dai cognitive skills e da una terza componente trasversale, appunto le ANC. La dimensione della coscienza, in particolare, è anche predittore significativo delle performance lavorative e della vita nel complesso, quali criminalità, propensione all’infelicità, comportamenti devianti e malsani rispetto alle condizioni di salute (eccessi alimentari, utilizzo di stupefacenti, attitudine alla violenza, ludopatie, ecc) (4).
Se il carattere è così importante per il formarsi di un vero capitale umano e favorire lo sviluppo integrale della persona, occorre convenire che è necessario superare il funzionalismo meccanicista della scuola attuale per aprirsi ai soft skills ed alle sfide poste dalla necessità di insegnare e valutare nuove dimensioni relazionali e di contesto.
Ma è possibile educare i bambini a sviluppare il carattere?
La questione è delicata sotto il profilo etico perché sussiste indubbiamente un rischio di manipolazione, come ad esempio indurre in un bambino comportamenti estranei alla sua personalità ma derivanti da un presunto “carattere tipo” normato dal legislatore e per di più variabile sulla base dell’indirizzo politico governante. È al bambino che spetta il compito di “plasmarsi” e se interferiamo troppo nel dirigere la sua crescita mentale, fuori dal normale corso del suo sviluppo, potremmo distorcerne il carattere in modi sottili se non addirittura subdoli. La famiglia e la Scuola possono sicuramente educare i bambini a valori condivisi in ambito sociale, come sono i big five, ma l’insegnante deve rispettare l’unicità delle diversità e favorire lo sviluppo e le abilità necessarie nel bambino per ascoltare la propria coscienza ed agire di conseguenza.
La nostra prima conclusione è che la Scuola non può più proporre piani standardizzati e massificanti, finalizzati alla semplice acquisizione di nozioni, perché la formazione del carattere esige il superamento di pedagogie deterministiche, riconducibili all’esercizio di pratiche formali. Esse sono inefficaci per lo sviluppo caratteriale e trascurano il cuore dell’educazione, che è dato dalla scoperta del senso della realtà, dalla crescita della coscienza, da una sperimentazione ripetuta e da una stuporosa e continua novità. La scuola per tutti deve valorizzare la diversità di ciascuno:
“Una scuola di qualità – scrive efficacemente Susanna Mantovani – la scuola migliore per tutti, è una scuola che riconosce tutti i suoi allievi e l’unicità di ciascuno, riconosce il patrimonio culturale e la specificità individuale e rende esplicito, sempre, un messaggio di riconoscimento, di interesse e di rispetto. È una scuola che sollecita la passione per lo studio e la sostiene”(5).
Quanto sinora detto ha un grande significato per gli anni dell’infanzia e della primaria, considerati da tutti gli studiosi come determinanti per un apprendimento che non può essere centrato sulle abilità solo cognitive ma deve aprirsi alla continuità con la dimensione affettivo-relazionale, una dimensione inclusiva, accogliente e ludica, di scoperte, interazioni, emozioni e incontri inaspettati. Un insegnante che dedica tempo agli allievi, li apprezza come persone, è aperto alla discussione ed al confronto, alla sperimentazione del nuovo ed alla gestione dei conflitti con equità e giustizia, avrà un forte impatto sullo sviluppo dei caratteri. E poi la fretta caratteristica del mondo moderno, la corsa ad ostacoli tra attività e discipline, uccide lo stupore e la creatività: i piccoli devono avere la possibilità di apprendere in modo naturale e tranquillo, nel rispetto dei loro modi, tempi e ritmi. L’insegnante deve porsi in ascolto, premessa indispensabile per la conoscenza bidirezionale e l’innesco di un rapporto di stima reciproco che crea in classe un clima cooperativo positivo. Questo può aiutare i bambini anche a far crescere la loro capacità di ascolto e di sintonia con l’altro da sé, diventando più sensibili sulle loro sensazioni fisiche ed emozionali ed anche su quelle dei compagni.
Il compito dell’educazione
Coltivare il pensiero critico e la gestione delle emozioni, è un ulteriore compito dell’educatore attento alle ANC. In definitiva, lo sviluppo del carattere può e deve essere favorito ed è molto importante iniziare presto, in famiglia e poi a Scuola sin dall’infanzia. Nella scuola italiana, ahimé, si fa esattamente il contrario: dalla centralità assegnata agli obiettivi di apprendimento fino all’egemonia delle competenze, i programmi ministeriali si vanno irreversibilmente sottomettendo alle pratiche produttivistiche d’Oltre Oceano, di matrice ideologica neo-liberista. L’impressione è che si stia perdendo il senso di una tradizione democratica che in passato ha guardato alla Scuola come a un luogo affidato alla responsabilità di docenti esemplari e alla trasmissione ed elaborazione culturale, e non solo come a un laboratorio di esercizi cognitivi in funzione di preparazione al lavoro (6).
Le nostre brevi riflessioni hanno lo scopo di suscitare una riflessione sul ritardo della nostra Scuola sulle ANC e provocare un dibattito tra studenti, insegnanti, famiglie, dirigenti scolastici, politici, tra tutti i consapevoli dei limiti dei metodi attuali. Ci rivolgiamo a quanti, sempre più numerosi, desiderano una Scuola che non abbia come obiettivo l’addestramento ma formi ed educhi persone mature, consapevoli, critiche, capaci di adattarsi e rispondere alla povertà umana del nostro tempo.
Gli autori
Piero Carducci, economista e docente universitario, è stato per molti anni dirigente aziendale, amministratore e consulente di società pubbliche e private. È stato direttore della Scuola di formazione tecnica e manageriale del Gruppo Telecom (SSGRR Spa). È autore LS Scuola.
Sara Persechino, psicologa, laureata in Psicologia Applicata Clinica e della Salute. specializzata in DSA, BES, disturbi dello Spettro dell’autismo e disabilità in ambito sportivo. Opera attualmente come progettista sociale e consulente nell’ambito delle organizzazioni non lucrative con finalità sociali nell’area educativa, culturale, scolastica e promozione del benessere.
Riferimenti bibliografici
(1) Kendrick, 1976, https://www.nber.org/system/files/chapters/c3803/c3803.pdf
(2) L. Smithers e coautori, 2019, https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30525112/
(3) A. Duckworth e coautori (2007), https://psycnet.apa.org/record/2007-07951-009
(4) J. Heckman, T. Kautz, Formazione e valutazione del capitale umano, a cura di G. Vittadini, Il Mulino, 2017
(5) S. Mantovani, Attaccamento e inserimento. Stili e storie delle relazioni al nido, Franco Angeli, 2016
(6) G. Chiosso, La pedagogia contemporanea, La Scuola, 2015