Il fenomeno migratorio è argomento centrale del nostro tempo, trattato quasi sempre in maniera emozionale, distorto dagli occhiali dell’ideologia. Ecco perché è necessaria anzitutto una “operazione verità” che sappia comprendere le radici dei fenomeni migratori nella loro oggettività.
I migranti sono sempre esistiti, nei secoli passati interi popoli si sono spostati alla ricerca di miglior sorte spinti dalla fame, dalle guerre e dalle persecuzioni. La grande differenza con il passato è che il mondo attuale è molto più chiuso: il 20% della popolazione terrestre, sostanzialmente gli abitanti dei paesi opulenti (USA, UE, ecc.) limitano o addirittura impediscono l’ingresso nei loro paesi del restante 80% della popolazione, appartenente a paesi poveri o devastati da conflitti. I paesi ricchi cercano di chiudere i loro confini perché temono che le ondate migratorie possano compromettere il loro benessere e stile di vita, una strategia di corto respiro che ovviamente non sta funzionando.
Nella situazione attuale di crescente diseguaglianza dobbiamo prepararci ad un forte incremento dell’immigrazione, determinato da tre fattori di fondo: l‘abissale differenza di reddito individuale tra Occidente e paesi arretrati (in un rapporto di 60 a 1); l’invecchiamento della popolazione nei paesi ricchi ed al contrario la spinta demografica proveniente dai paesi poveri (i paesi industriali compresa la Cina sono carenti oggi di 60mln di operai mentre i paesi giovani ne hanno 500mln in eccesso); la crisi climatica e le guerre colpiscono soprattutto i paesi poveri e le persone sono costrette a spostarsi.
A fronte dell’irreversibilità del fenomeno migratorio, dobbiamo quindi avviare una diversa riflessione per arrivare a gestire il fenomeno alla radice senza rischiare mettere in pratica politiche “emozionali” e fallimentari, come erigere muri fisici e barriere normative che portano solo a sperperare risorse ed alimentare odio tra i popoli. In Europa, in particolare, le correnti migratorie sono destinate a gonfiarsi in maniera incontrollabile, in assenza di un accelerato processo di sviluppo che abbracci tutta la riva Sud del Mediterraneo.
Integrazione sociale a Scuola
La distanza tra Occidente e Sud del mondo è abissale ed è questa la questione sociale del nostro secolo. In questo scenario complesso la Scuola si trova in prima linea nel farsi carico del problema dell’immigrazione. L’imponente crescita degli alunni stranieri ha costretto nei fatti ad affrontare il problema dello scambio linguistico, del confronto interculturale, dell’integrazione sociale. La nostra Scuola accoglie 800 mila studenti migranti o figli di migranti (10% degli iscritti), un grande potenziale dal quale dipende una parte importante del nostro futuro.
Numeri in crescita che richiedono un imponente impegno educativo. Ci limitiamo ad osservare che l’integrazione non può essere affrontata con le attuali logiche emergenziali e richiede un coordinamento tra insegnamento e politiche sociali. Secondo il parere di una studiosa della questione, la sociologa Elena Besozzi, le differenze in ambito sociale costituiscono le discriminanti più gravose tra gli alunni, per cui occorre affrontare come dirimente il problema della disuguaglianza a livello ‘materiale’ oltre che a livello di cultura. Centrale poi la questione linguistica che, insieme alle diseguaglianze nelle condizioni di partenza, determina il rendimento scolastico.
Il mero accesso alla scuola, per gli immigrati ma anche per gli italiani, non è condizione sufficiente per considerare reale l’integrazione degli studenti; come dimostra l’alta dispersione, anche tra gli italiani, la nostra Scuola è ancora lontana dal raggiungere la reale parità di opportunità. Questo stesso problema oggi arriva a coinvolgere anche gli stranieri. La questione dell’integrazione non si risolve facendo entrare tutti a scuola se non vengono eliminate, con gli opportuni percorsi di potenziamento, le situazioni di svantaggio iniziale che non riguardano solo gli immigrati bensì tutti gli alunni in difficoltà.